Comitato Scientifico

Il cambiamento climatico in viticoltura: la storia

Le variazioni di temperature, precipitazioni e nuvolosità che vengono identificate con  l’espressione “mutamenti climatici” si sono presentate in maniera ciclica nel corso della storia, influenzando in modo significativo la distribuzione e lo sviluppo degli esseri viventi. In questo articolo Attilio Scienza ricostruisce la storia del rapporto tra cambiamenti del clima e viticoltura.

Il clima e la storia economica e sociale dell’Europa

La storia della viticoltura europea è la storia dell’adattamento ai cambiamenti climatici che si sono susseguiti fin dagli albori della nascita dell’agricoltura. La lotta contro la dittatura del clima si è sviluppata nelle fasi iniziali con la delocalizzazione, come è avvenuto con la scomparsa della viticoltura dalle vallate alpine e dalle regioni del nord Europa dopo l’“optimum climatico medievale*”.  La vite è una pianta emblematica nella ricostruzione del clima in Europa. Lo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie, analizzando i diari dei parroci ed i registri dei monasteri, ha raccolto in un saggio del 1983 le vicende climatiche dell’Europa degli ultimi mille anni, concludendo che le guerre, le carestie, le epidemie, le grandi emigrazioni sono sempre coincise con i grandi cambiamenti climatici.  Il cambiamento varietale, con la scelta e spesso l’importazione di specie in grado di superare le crisi climatiche, ha fornito il maggior contributo adattativo. Un esempio è dato dall’introduzione in Champagne dello Chardonnay e del Gouais in sostituzione del Pinot nero e di altre varietà originarie, avvenuta durante la “piccola glaciazione“ occorsa tra il XIV e il XVIII secolo. Così accadde nel Veneto, dove molte varietà tardive furono abbandonate dopo la grande gelata del 1709: alla ripresa di condizioni climatiche favorevoli, la forte richiesta favorì la coltivazione di vitigni più produttivi a discapito di quelli più qualitativi. E ora la storia si ripete: lo si può notare nella Heathcote australiana, dove al posto di vitigni provenienti dalle regioni continentali europee si stanno introducendo varietà dell’Italia centro meridionale (Montepulciano, Nero d’Avola, Sagrantino, Aglianico).

Un contributo importante, anche se non decisivo, nel contrastare gli effetti negativi del clima è arrivato anche dalle scelte di tecnica colturale, come l’adozione di forme d’allevamento con diversa architettura dell’apparato fogliare o le sistemazioni dei suoli più favorevoli all’intercettazione dell’energia solare, che hanno modellato rive di fiumi e laghi europei.

L’impatto del cambiamento climatico sulla viticoltura

Il cambiamento climatico negli ultimi 30 anni ha provocato effetti generalmente positivi, soprattutto sulla qualità del vino, per l’anticipazione e l’intensificazione dei fenomeni di maturazione. I modelli statistici sviluppati per i prossimi 30 anni, però, anche se le previsioni climatiche sono un esercizio molto difficile, appaiono meno favorevoli perchè stimano un incremento di 1,5-2,5 °C nella temperatura media annuale. Questo scenario indurrebbe un anticipo nelle fasi fenologiche di circa 6-22 giorni.  Chi oggi vendemmia il 20 agosto, tra qualche anno probabilmente dovrà farlo a fine luglio. Appare difficile delocalizzare la gran parte delle viticoltura italiana delle DOC/DOCG, dato che si esprime in territori dalle caratteristiche pedoclimatiche ben definite, con rigidi vincoli legati ai disciplinari di produzione.  Molto più promettenti appaiono le prospettive di adattamento attraverso i progressi che si possono raggiungere con il miglioramento genetico e con gli interventi di tecnica colturale, anche alla luce dei recenti progressi ottenuti dalla ricerca.

Le attuali crisi climatiche si manifestano con eccessi termici, alte radiazioni UV-B e disponibilità idriche irregolari ed imprevedibili. Le conseguenze sulla fisiologia della vite sono molto evidenti, come dimostrano gli effetti della carenza idrica, lo sfasamento delle fasi fenologiche, gli effetti ossidativi sull’attività fotosintetica, l’alterata sintesi dei composti secondari (polifenoli ed aromi) che sono alla base della qualità del vino. Da non trascurare anche le interazioni con il ciclo dei parassiti animali e vegetali e con le caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche del suolo.

La storia non è altro che il presente che prende coscienza del passato “ (J.P. Sartre)

L’Italia è in preda ad un incantesimo ideologico che esalta il passato, in cui domina l’idea che si possa costruire sulla nostalgia e sull’esoterismo una prospettiva economica futura per la viticoltura. La ricchezza di un Paese ed il suo benessere dipendono da molte circostanze, ma due sono imprescindibili: la libertà individuale e lo sviluppo scientifico.  Investire nella scienza e scommettere sull’innovazione significa pensare al futuro ed il futuro è rappresentato dal miglioramento genetico e dall’applicazione della space economy. Vannevar Bush, un maestro del pensiero scientifico occidentale, pubblicò nel 1945 il “Manifesto per la rinascita di una nazione”. Il sottotitolo recitava: “La scienza può contribuire al benessere della nazione solo all’interno di un lavoro di squadra. Ma senza il progresso scientifico nessun risultato in altre direzioni, per quanto grande, potrà mai assicurarci la salute, la prosperità e la sicurezza necessarie ad una nazione del mondo moderno“. Un messaggio da condividere per dare nuovo impulso alla ricerca viti-enologica italiana, per trasformare tutti assieme un problema in un’opportunità.

*Optimum Climatico Medievale o Periodo Caldo Medievale: un periodo relativamente caldo per le regioni del nord Atlantico, durato circa 500 anni dal IX al XIV secolo.